Charles Bukowski

PIACERE, SIGNOR BUKOWSKI

Non ho mai letto un libro di Charles Bukowski. Non ho mai pensato di leggere un libro di Charles Bukowski. Così come non ho mai visto la saga di Star Wars o le serie Game of Thrones e Trono di Spade. Ho appena scoperto che queste ultime due sono persino entità separate.

Qual è il punto? Nessuno. Notavo che non ho fatto molte cose che hanno fatto tutti. Stasera cercavo di capirne di più. In un locale che frequento, c’era proprio una lettura di scritti di Bukowski accompagnata da canzoni americane o giù di lì. Sorseggiavo un amaro nella stessa misura in cui dovevo centellinare le spese; credevo di avere più denaro sulla PostePay e invece ho scoperto che fino a sabato mi rimangono pochi euro.

Alla gente presente nel locale, di Bukowski non fregava assolutamente nulla. Anzi un cazzo, come avrebbe scritto lui. Alcuni erano lì in quanto amici dei lettori e dei musicisti sotto i riflettori. Altri erano avventori abituali. Si, qualcuno poi era realmente interessato, ci mancherebbe. Io sono entrato sapendo che c’era questo evento, ma sarei uscito ugualmente come ogni giovedì. Per la cronaca, dopo aver fatto le prove con una band, mi ero intrattenuto col chitarrista a mangiare una pizza rendendomi conto di come mi restassero pochi soldi. Tornando verso casa, ho lasciato il portone dello stabile semi-aperto. Dopo essermi voltato per chiuderlo, uno dei ragazzi che stazionava nei paraggi deve aver tirato un pugno o un calcione al suddetto portone. Davvero, non saprei spiegare il perché.

Entrato nel salone ho posato al volo lo zaino e mi sono preparato per uscire di nuovo, immaginando uno scenario da film di Al Pacino, con dei sicari che mi attendevano sul pianerottolo per finirmi a causa del misterioso sgarbo del portone chiuso. Invece, in strada c’erano giusto le persone che entravano nel kebab-fast food vicino. Tanto rumore per nulla.

Avviandomi verso il locale della serata su Bukowski, sono passato davanti agli scalini della chiesa di piazza del Comune. Una donna che ho visto almeno cento volte negli ultimi cinque anni ha attirato la mia attenzione, chiedendomi cinquanta centesimi per un caffè. Richiesta esplicita e motivata. Mi sentivo ridicolo a paragonare la mia — temporanea — carenza di denaro con la sua: era senza denti e coi vestiti logori. Come se avessi attivato un juke-box, appena riceve le monete ha iniziato a parlare. Un discorso sconnesso e con una logica impossibile da ricollegare, almeno di non entrare nella sua testa. Riassumendo, credo che abbia rischiato la vita — sua e dei suoi parenti — e che non abbia ricevuto giustizia. Mi ha raccomandato di fare attenzione, non penso si riferisse ai tizi che tirano calci volanti ai portoni.

Ho attraversato la piazza dirigendomi verso la meta con passo svelto. Tirava vento, con in allegato consistenti minacce di pioggia. Dentro c’era calca, al punto che ho dovuto sedermi per terra. Sedersi per terra non è di certo sciatteria: in assenza di meglio è la soluzione ideale. L’alternativa è di rimanere in piedi ed essere massacrati di gomitate; a conti fatti, il flusso umano ha più pietà per chi giace al suolo con le gambe incrociate. Tuttavia, si crea una specie di dislivello tipo “mondo di su e mondo di giù”; è quasi possibile scorgere il sorriso ebete dei privilegiati che stanno là dall’ora dell’aperitivo.

Il tributo allo scrittore americano-teutonico è andato avanti senza intoppi. I curatori hanno concesso al pubblico anche la pausa birra. La loro rappresentazione ha però subìto le interferenze di coloro che preferiscono chiacchierare, perché oramai le persone non ascoltano nulla e credono che anche essere clienti con un vino da cinque euro in mano costituisca una forma d’arte da ammirare. Ho sempre trovato affascinante la questione, l’universo di coloro che parlano AD ALTISSIMA VOCE al cinema o a due metri da un concerto acustico: infastidire sapendo di farlo, come quelli che durante le partite entrano in campo nudi.

Io invece ascolto con attenzione, assimilo i numerosi aneddoti sciorinati dal ragazzo col microfono. A leggere i testi, invece, è un signore con cui anni fa feci un colloquio di lavoro per una ditta che vendeva cialde di caffè. Se avessi accettato, nel giro di poco tempo sarei diventato ricchissimo come lui, soprattutto se avessi portato clienti e altra gente disposta a fare lo stesso lavoro. Non lo feci; il giorno che sarei dovuto presentarmi per comunicare la mia decisione, rimasi a Roma. Una ragazza greca di mia conoscenza era di passaggio da quelle parti. Non me ne pentii ma chissà: forse, grazie alle cialde, al posto di un amaro stasera avrei potuto ordinare due bottiglie di Dom Pérignon.

Tornando alla serata, a un certo punto sul muro è stato proiettato un turbine di citazioni. Le ho lette già in precedenza pur non avendo mai esplorato la bibliografia di questo autore. Bukowski rientra nella categoria dei citati eccellenti. A fargli compagnia ci sono tanti artisti che non hanno cercato la notorietà, ma l’hanno ottenute e pure eterna. Il loro successo è dovuto al mito della loro irraggiungibilità; non credo che molti siano in possesso dei reali turbamenti di personaggi del genere. Ma in fondo, a tutti piace pensare di essere un po’ maledetti. Costituisce una scialuppa di salvataggio, che permette di non accettare inconsciamente di dover vivere una vita normale e ordinaria. Ecco perché attorno a me vedo tanti aspiranti Jim Morrison e Amy Winehouse, De André rampanti e Betty Page tatuate, ma nessuno di loro diventerà un’icona per le generazioni future. Ecco perché i locali restano aperti fino a tardi la sera, veti nazi-comunali permettendo. Ecco perché l’alcol e le sigarette aumentano e nessuno protesta. C’è bisogno di queste irrazionali valvole di sfogo. C’è bisogno di non credere che l’esistenza si riduca al monologo finale di Trainspotting.

Finito lo spettacolo, ho deciso di indugiare troppo nel locale che iniziava a svuotarsi. Mi sono quasi vergognato delle cose che ho pensato mentre ascoltavo. So che domani non andrò a comprare libri di Bukowski, in un’ora mi hanno spoilerato tutto. Non è una buona scusa, quindi aggiungo che ho da leggere un quantitativo di libri arretrati da riempire la biblioteca d’Alessandria d’Egitto. Mi farebbe piacere sapere come reagirebbe Bukowski in persona a eventi come questo. Sarei curioso di sapere se personaggi come lui oggi troverebbero posto in un mondo che li prende a modello senza assumerne i connotati più scomodi, eccezion fatta per le sbronze.

Pubblicato da

gabriele

Vivo a Viterbo e collaboro con il periodico "Decarta".